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Mario Capanna 

spiega il “suo” Parlamento Mondiale

(a cura di Raffaele Aprea)

 

È da pochi giorni uscito il libro di Mario Capanna dal titolo “Verrò da te”, un incontro e confronto tra generazioni alla ricerca di una risposta alla domanda <<dove stiamo andando?>>. La tesi conclusiva del libro è l’esigenza di un Parlamento Mondiale che si occupi di rappresentare gl’interessi dei popoli, ma per saperne di più leggiamo le parole dell’autore:

 

1 )La tesi del Parlamento Mondiale ed il confronto generazionale che viene descritto nel libro non possono definirsi un modo un po’ “alla larga” di affrontare la realtà visti gl’imminenti problemi economici che le famiglie devono affrontare? Un operaio di Melfi, in queste ore potrebbe essere più interessato a verificare che il suo contratto sia onorato anziché occuparsi di Parlamento Mondiale come strumento per la rinascita di una democrazia dei popoli?

_ Sei proprio sicuro di ciò? Mi spiego meglio: il contadino analfabeta del Rio delle Amazzoni, rispetto al quale l’operaio di Melfi è un Nababbo, conosce gli effetti disastrosi della globalizzazione perché li sperimenta direttamente sulla sua pelle e quindi li conosce meglio di un banchiere della city di Londra, che invece li vive dal suo doppio petto e dalla sua scrivania. Il campesinos quindi sa bene che per smettere di essere analfabeta il Parlamento Mondiale gli è indispensabile. Quindi anche se non so scrivere, una crocetta la so fare e quindi se qualcuno mi spiega che il parlamento mondiale serve per riequilibrare lo sviluppo, a smettere di fare la guerra, per fermare la corsa agli armamenti e se le immense risorse dedicate agli armamenti potrebbero essere riconvertite per l’agricoltura, l’alfabetizzazione, per la sanità, per portare energia elettrica a quel miliardo di persone che non può usufruirne. A questo punto dice: <<Cavolo! Così miglioro le mie condizioni di vita….eccoti la crocetta!>>. Con questa metafora voglio dire che solo guardando l’orizzonte mondiale dei problemi si può meglio lottare per strappare le conquiste particolari gli obiettivi concreti: fare in modo che i prodotti alimentari costino di meno, che il posto di lavoro ci sia che l’occupazione aumenti. Solo una visione generale rende più forte anche la rivendicazione sugli aspetti particolari. Se invece si fa l’inverso ed ognuno si occupa solo del suo orticello è fregato da quelli che si occupano degli aspetti generali. Infatti così sta avvenendo; guerra compresa.

 

2) Quindi il Parlamento Mondiale è una realtà concreta e totalmente tangibile?

_ Sicuramente non domani mattina, ma lo vedo come un processo necessario allo stesso modo come nel 1941, in piena seconda guerra mondiale, quando le armate nazifascite sembravano imbattibili, a due anni di distanza dalla svolta del 1943, tre uomini quali Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colonni, esuli antifascisti nell’isola di Ventotene scrivono il famoso “Manifesto di Ventotene”. Mentre gli eserciti si stavano scannando sui campi di battaglia dissero: la guerra finirà ed i paesi europei si uniranno ed eleggeranno  un Parlamento Europeo, elaboreranno una Costituzione Europea e i cittadini saranno chiamati a votarla: questi sono i processi in corso; anche se procedono con le difficoltà e le contraddizioni che tutti sappiamo. Gli uomini del Manifesto di Ventotene sembravano matti ed invece avevano ragione, intercettavano un percorsi di fondo della storia. Analogamente accade per il Parlamento Mondiale in quanto è evidente che senza un organismo che regoli per conto dei popoli (che lo eleggono in modo democratico) le contraddizioni del mondo esso corre il rischio della distruzione. Quindi anche se non sarà un percorso facile ne breve la direzione sarà questa.

 

3) La tesi del Parlamento Mondiale non nasconde una sfiducia nella politica oppure l’opposto?

_ No! È l’opposto esso testimonia una grande fiducia nella politica con la “c” finale e non con la “k”, cioè qella fatta di tramestii di palazzo, di salta fossi ecc..., la politica intesa come partecipazione, come forze politiche che organizzano la partecipazione e non organizzano solo la delega come oggi largamente avviene.

 

4) Il quadro da lei prospettato prevede individui con una moralità molto alta. Nel Parlamento Mondiale o in quello Europeo o Nazionale e giù fino all’Assemblea di un Consiglio Comunale ci si potrebbe organizzare in modo da gestire ad uso proprio le risorse comuni. In fin dei conti, chi ricopre cariche istituzionali ha nelle mani un potere perché gestisce attraverso una sua decisione  le ricchezze e le risorse della comunità. Lei crede che il futuro ci riserva così tanta moralità politica? Non corriamo di avere la medesima trastula del nostro “piccolo”?

_ Credo di no e spiego il perché: il giorno in cui si arrivi a maturare l’orientamento dei popoli ad eleggere il parlamento mondiale, vuol dire che sarebbe stato un tale mutamento della coscienza e della consapevolezza culturale e politica per cui è interesse dei cittadini, in virtù del fatto che si deve eleggere un organismo che decide delle sorti presenti e future dell’umanità, e non decide semplicemente sugli appalti ecc.., allora tutti saranno interessate a scegliere persone per la loro competenza e per la loro dirittura morale. Anche perché, a me pare di vedere una benefica reazione da parte di molta gente rispetto alla immoralità della politica. Infatti ad ogni tornata elettorale aumenta l’astensionismo, che sebbene non sia una cosa buona, è un termometro circa il numero di persone che pensa: <<questa politica fa i vostri interessi non più i miei. Quindi la domenica in cui si vota non faccio nemmeno lo sforzo di andare al seggio e vi mando a quel paese dal salotto di casa mia!>>. Ora, se la politica se ne rende conto bene , altrimenti si arriverà ad un verticismo sterile. La richiesta della gente è che l’etica e la politica devono essere unite in un matrimonio indissolubile.

 

5) Supponiamo per ipotesi che la scuola e l’informazione riescano a disciplinare in maniera saggia ed opportuna, persone adulte e giovani in modo tale da avere una società moralmente alta e quindi una classe politica di pari livello. A quale punto il Paralamento Mondiale che ruolo avrebbe?non potrebbe bastare gli attuali meccanismi democratici coadiuvati da una moralità politica negli accordi tra nazioni?

Questo però è astratto! L’esperienza concreta, ne fa da esempio l’ONU, un conto sono gl’interessi degli stati e dei governi che l’ONU rappresenta ed un conto sono gl’interessi dei popoli che sono un’altra cosa. Nella storia umana fino ad oggi non c’è stato nessun organismo che li abbia rappresentati. Anche nel caso in cui un colpo di bacchetta magica produca un modo di persone e classi politiche virtuosi, rimarrà sempre la inevitabile necessità di un organismo che legalmente esprima questa volontà collettiva. Questo rimane un problema ineludibile e rientra dalla finestra ciò che avevi cercato di lasciare fuori dalla porta.

 

6) In questo ripetersi della storia: le guerre si fanno solo per scopi economici, non crede che bastino le parole di Croce? E poi,  perché questa volta il pericolo è maggiore che in passato?

Questa rappresentazione purtroppo non rappresenta in maniera esatta la realtà, oggi ci sono circa 50 guerre guerreggiate nel mondo – dati fonte ONU -, ma di esse non si parla. Vengono trattate solo quelle quattro più sanguinose e catastrofiche, delle restanti 45 o 46 è come se non ci fossero ma mietono vittime ugualmente. In queste condizioni di sfruttamento, prepotenza ed oppressione la guerra sta dilagando in maniera endemica anche se noi non ne parliamo. –Quindi la situazione e più difficile che in passato?- Esattamente! Inoltre ciò che sta avvenendo in Iraq, Afghanistan con le torture le teste mozzate ecc.. sono una regressione alla barbarie dell’umanità, sia da arte degli eserciti cosiddetti regolari, che praticano al tortura, sia da quelli diciamo irregolari. A conferma di ciò è la frase di Tito Livio : <<la guerra non trasforma se stessa>>; quindi è stupido farla. Aggiungerei anche questo: proprio queste vicende dimostrano che non esiste nessuna guerra capace di eliminare più persone cattive di quante ne crei. Ecco perché dobbiamo farla finita con la guerra una volta per tutte!

(foto a cura di Raffaele Aprea –Raffaele_78it@yahoo.it)

“Verrò da te” di Mario Capanna

dal microcosmo al macrocosmo umano

È stato presentato pochi giorni fa, grazie all’impareggiabile impegno di due associazioni culturali quali Uthòpia e CapuaNuova, il nuovo libro di Mario Capanna, leader del Sessantotto italiano, già Parlamentare italiano ed europeo e Consigliere Regionale in Lombardia, convinto ambientalista e pacifista oggi attualmente Presidente del “Consiglio dei diritti genetici”.

Il libro dal titolo “Verrò da te”, si presenta con una scelta letteraria a metà strada tra il romanzo ed il saggio. L’autore immagina un confronto tra generazioni attraverso quattro giovani che s’incontrano sulla strada del G8 di Genova e non si perdono più di vista perché accomunati da una passione per la vita che li porta a domandarsi quale sia il mondo ed il tempo che stanno vivendo e come potrebbe essere il mondo futuro. Carica di questa tensione interrogativa è la lettera che l’autore riceve e così nasce un dibattito che sarà appunto il confronto generazionale. Il libro termina con una tesi: la costituzione di un Parlamento mondiale che si occupi dei popoli.

Il libro comunque risulta essere un invito allo studio prima approfondito e poi critico della storia al fine di comprendere il passato analizzare il presente immaginare un futuro possibile.

L’autore –ha chiarito durante la presentazione del libro- di aver scelto di considerare solo i fattori economico finanziari al fine di porre l’accento su di essi; tralasciando così il fattore mass-media   in quanto già trattato in suo precedente libro.

Attualmente esiste una minoranza di persone che controlla tutto il mondo, questa minoranza non sono banalmente l’occidente ma un ristretto numero di persone: coloro che gestiscono le multinazionali. Quest’ultime, che in parole semplici (sicuramente anche troppo semplici) non sono altro che delle imprese su scala planetaria fortemente interconnesse tra loro le quali riescono a gestire tutte le risorse del pianeta. Per la loro interconnessione e dimensione quindi, possono permettersi di saltare ogni forma di procedura democratica decidendo così per tutti i popoli del mondo. Affinché tutto ciò accada in una ben precisa forma  di silenzio s’introduce in questo contesto una giustificazione (qui i mass-media fanno la parte del leone!) di stampo più o meno morale: <<noi siamo una categoria fortunata (introducendo così una componente aleatoria tale da convincerci che non abbiamo responsabilità circa la miseria che regna in altre parti del pianeta) quindi, anche se abbiamo qualche “ problemino ” di democrazia in casa nostra, abbiamo il dovere di portare la democrazia e la libertà (anche con  la guerra) nei luoghi sfortunati. Tra gli sfortunati c’erano gl’iracheni con un dittatore sanguinario: Saddam Hussein, quindi avevamo l’obbligo “morale” di buttarlo giù…con le bombe (con le buone non voleva proprio andar via….se l’è cercata!) In tutto questo però si dimentica come Saddam sia diventato dittatore in Iraq, quando e come nasce l’Iraq ecc..! In questa condizione ecco che molti americani credevano che le Twin Towers le avesse tirate giù Saddam.

In realtà l’occidente rapina il resto del mondo dai tempi delle Crociate cioè 900 anni, tutte le guerre che sono state fatte avevano il solo scopo di cercare nuove risorse e nuovi mercati da sfruttare. Non è un caso che la Repubblica Popolare Cinese sia già attorniata da basi militari USA, l’economia della Cina è destinata ad aprirsi sempre di più al mercato mondiale e con il vertiginoso crescere del PIL che la caratterizza, l’occidente corre il serio rischio di esserle economicamente succube. A questo punto nota la forte ricchezza petrolifera dell’Iraq, essa risulta una tappa fondamentale per l’approvigionamento energetico. In questo modo il controllo economico e politico nelle mani di pochi risulta essere un vero ostacolo a qualunque forma di sviluppo democratico ed anche economico perché spezzando le ali della democrazia si taglia il plusvalore della diversità che potrebbe suggerire soluzioni nuove ed alternative.

Ora, c’è un altro punto di approfondimento: come mai l’occidente ha scelto questo modo di relazionarsi al resto del mondo? Il modo di pensare occidentale ha subito una profonda accelerazione nella sua espansione  geografica dopo il 1989, quando cadde il muro di Berlino. In quel momento il dualismo politico ed anche culturale che aveva influenzato il mondo ed aveva generato la nota “guerra fredda”, la quale sebbene non fosse altro che una rincorsa all’allestimento dell’armamento più distruttivo possibile, tale da renderlo inutilizzabile a meno della totale distruzione di tutto il pianeta, aveva prodotto una sorta di equilibrio politico ed economico di mutuo contrasto. Nell’89 cade il muro, ma questo evento non significa semplicemente la “caduta del comunismo” ma un modo di vedere ed affrontare il mondo e la vita che aveva avuto la meglio sull’altro. Affermare che il comunismo è: Stalin, Lenin, Mao ecc. è un semplice modo demagogico di affrontare la storia, le idee e le ideologie che   l’ hanno condizionata se non addirittura fatta. La differenza vera tra i due modi di vedere il mondo consiste nell’uso e nel possesso di tutto ciò che ci circonda, dalle cose fisicamente materiali fino a quanto di più astratto o immateriale possiamo pensare. Il modo di pensare occidentale (per intenderci quello che tirato giù il muro) basa una delle sue peculiarità più importanti “sul verbo avere”. Per intenderci meglio: già nell’antica Grecia tutto ciò che potevo vedere e toccare lo potevo possedere, dominare e trasformare a mio vantaggio. Per capire ancora meglio ed in maniera del tutto pratica questo aspetto del nostro modo di pensare procediamo per negazione. Proviamo a considerare le frasi di maggiore diffusione che venivano lanciate  come accuse all’ideologia comunista: (per lo più pronunciate al bar o in piazza la domenica mattina! Magari dopo la messa…)<<….i comunisti ti tolgono la proprietà privata…..non puoi possedere nulla….non puoi avere qualcosa di tuo che te la tolgono….non puoi avere una casa tua …..non puoi avere una terra tua….i comunisti non sono liberi…i comunisti ti tolgono la libertà…..>>. Vale la pena sottolineare che tale ragionamento si estendeva anche alle donne: <<…..se sei comunista devi mettere in comune anche la tua donna….>>. Proviamo ora a negare le frasi che sono tra virgolette: <<nessuno mi toglie la proprietà …..posso possedere tutto quello che voglio…(….qui c’è puzza di berlusconite….meglio non soffermarci…)…ciò che ho nessuno me lo toglie……ho una casa mia ho una donna mia …..:sono un uomo libero!>>. La domanda nasce spontanea: sei libero di ? Beh! Libero di fare ciò che voglio, ho una tazzina, la uso o la distruggo, sono libero di coltivare o di abbandonare la mia terra, oppure ci costruisco una casa tutta mia dove metterò le cose mie e ci vivrò con la donna mia con i figli miei e ci farò entrare chi voglio io e nella mia casa faccio quello che voglio!..Più libero di così?? (quanti di noi si riscontrano in queste frasi!)

Proviamo a fare il punto affrontando al questione alle sue radici.

Nelle ultime frasi ho legato il possesso (quindi il verbo avere) con la possibilità di uso, dominio e quindi trasformazione a mio piacimento di tutto, ergo sono anche libero! L’uso del verbo avere mi ha legittimato il dominio-trasformazione: se la tazzina è mia sarò legittimato a romperla quando voglio, quindi ad agire anche in maniera violenta. Il comportamento di questo tipo diventa problema vittima del verbo avere sono le persone e la natura.Per quanto triste e duro sia accettare questo meccanismo esso spiega molti di quegli aspetti della nostra vita quotidiana e non che all’apparenza ci sembrano assurdi.

Al fine di rendere completo il discorso bisogna quindi dire che se da un lato la dittatura comunista come forma di governo politico delle nazioni è caduta, (ma le dittature sono tutte destinate a finire!), l’ideologia nella sua matrice prima aveva l’obiettivo di superare alcuni meccanismi che rendono l’uomo uno degli esseri viventi più violenti. Non bisogna dimenticare inoltre che l’antefatto del comunismo si chiama socialismo scientifico e cioè l’evoluzione “scientifica” degli esperimenti di Robert Owen. Il comunismo però è uno degli esempi di un modo di vedere il mondo in maniera diversa. Non dimentichiamo che gli stessi Indiani d’America avevano un modo di vivere in simbiosi con la natura ed anche molte altre culture e religioni orientali seguono una “strategia” di questo tipo. Si pensi che ci sono alcune popolazioni dell’Africa che non hanno il verbo avere: <<ho una casa>> diventa <<sto con una casa>>. In conclusione: copiare altre culture di altri popoli sarebbe tra l’assurdo e l’impossibile e significherebbe rinnegare la nostra identità che nel bene e nel male è parte integrante di noi. Non posso realisticamente immaginare la mia vita come una delle popolazioni di cui prima ma sarebbe opportuno riflettere sui nostri errori e vedere quanto siamo stati possessivi e/o violenti. Forse basterebbe considerarci uomini e donne tra altri uomini e donne, sparsi sul tutto il pianeta in una continua evoluzione basata sullo scambio culturale e non su uno scambio di bombe!

Prima di chiudere vorrei spendere due parole non mie,  sulla libertà:

vorrei essere libero come un uomo, come un uomo appena nato che ha d i fronte a se solamente la natura, che cammina dentro un bosco con la gioia di inseguire un’avventura sempre libero e vitale, fa l’amore come fosse un’animale incosciente come un uomo compiaciuto della propria libertà. La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone. La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione… (Giorgio Gaber)

 

(foto  a cura di Raffaele_78it@yahoo.it)

A.R.C.I.

Associazione ricreativa e culturale italiana

(a cura di Raffaele Aprea)

 

Forse poco nota, sicuramente poco pubblicizzata da media piccoli o grandi, ma certamente una delle realtà più presenti sul territorio italiano e nelle istituzioni, pronta ad interloquire con esse, per difendere i diritti dei cittadini; si tratta dell’ARCI, acronimo di Associazione Ricreativa e Culturale Italiana.

Le radici di questa associazione che, sempre in prima linea e senza indugiare, si schiera dal lato dei più deboli, affonda nella storia del secolo scorso con le Società di Mutuo Soccorso; attraverso gli anni ed i mutamenti è cambiata molto e per capire meglio cos è abbiamo provato a parlarne con Giovanna Maciariello, consigliere provinciale del comitato provinciale dell’ARCI per la provincia di Caserta.

L’arci è un’associazione che si definisce autonoma ed indipendente, ma da chi o da cosa è indipendente?

L’ARCI è indipendente dai partiti politici e dalle istituzioni; in questo senso va inteso il concetto di autonomia ed indipendenza. Essa ha un proprio statuto una propria linea politica, delle proprie strategie progettuali. Siamo una delle principali organizzazioni del terzo settore che siede a tavoli istituzionali di concertazione al pari altri enti istituzionali come sindacati, confcommercio o la confindustria ecc.. al fine di trattare i vari problemi di questo Paese.

Cosa s’intende per promozione sociale?

Le azioni di promozione sociale sono diversificate e sono state definite dalla legge 383. Con essa sono state identificate e caratterizzate le associazioni di promozione sociale. In generale il ventaglio di azione delle associazioni che fanno promozione sociale è amplissimo, va dai temi della cittadinanza attiva, ai temi della promozione culturale e sociale ai temi della partecipazione. Quindi tutti gli strumenti le progettualità e gl’interventi da un punto di vista politico che possono mettere in campo le associazioni di promozione sociale, vanno in direzione di una successiva declinazione dei temi di cui prima.

Cittadinanza attiva…cos è?

È un modo di rapportarsi a quello che le persone vivono quotidianamente, ovvero i percorsi di diritto ed i percorsi di dovere dei cittadini all’interno di un qualsiasi ambiente in cui essi vivono sono caratterizzati dalla consapevolezza di quello che essi stanno facendo, dalla volontà di farlo e dalla volontà di perseguirlo. Per cui, il concetto di cittadinanza attiva non è altro che l’unione delle capacità dei vari cittadini di mettere a sistema le loro risorse attraverso le leggi ed il rispetto convivenza civile che caratterizza il vivere insieme sociale.

L’ARCI è indipendente dalla politica ma occupandosi della collettività, in qualche modo svolge un’azione che ha delle forti analogie con la politica. Da cosa nasce il bisogno di essere indipendente?
Perché l’indipendenza garantisce anche lo spirito critico e l’autonomia decisionale rispetto a quelli che sono i dettami politici di carattere istituzionale in senso stretto. Il fatto di essere indipendenti non vuol dire che siamo staccati, significa che abbiamo un rapporto dialettico il più possibile libero ed indipendente perché questo ci consente di dire sempre la nostra rispetto a tutte quelle vicende politiche, sociali ed economiche che attraversano  i nostri territori, sia a livello locale che nazionale

La differenza tra impegno civile e politico; maggiore “libertà” quando si tratta d’impegno civile,mentre quello politico e più organizzato?

credo che l’impegno civile sia maggiormente trasversale rispetto a quello politico in senso stretto, ma questo dipende molto da una nostra decodifica culturale della politica. In quanto spesso la intendiamo come soggettività collocata all’interno di rappresentazioni istituzionali. In realtà se la politica fosse intesa così come è stata concepita, diciamo tremila anni fa dai greci, sarebbe una forma di cittadinanza attiva. Ovviamente quando essa si struttura in luoghi di potere diventa anche altro.

L’impegno civile consente di avere anche un livello di partecipazione che non è prettamente istituzionale né gerarchizzato ma può essere di tipo trasversale e complessivo.

L’ARCI nasce come associazione per la promozione della coesione sociale. La coesione sociale cos è?

L’Arci è impegnata nella promozione e la diffusione dell’associarsi dei cittadini. Siamo nati dalle società di mutuo soccorso sul finire del ‘900, l’atto fondativo è arrivato nel 1957 dopo la rottura delle organizzazioni giovanili del fascio ed in contrapposizione ad esse . in quegl’anni c’era un’esigenza forte di attività di natura culturale; questo è stato l’humus che permesso la nascita dell’ARCI. Rispettare l’articolo della Costituzione che invita e tutela l’associarsi dei cittadini, riteniamo possa essere fattore di coesione sociale. Oggi viviamo in una società da molti definita globalizzata che produce disgregazione su diversi fronti, dal lavoro, all’economia, fino ai rapporti umani. Basta considerare al precarizzazione del lavoro che non permette più un rapporto sindacale come era stato immaginato circa dieci o quindici anni fa. Queste dinamiche incidono sia direttamente che indirettamente sulla vita di un persona. Il cambiare lavoro tre o quattro volte in un anno non consente di avere quelle relazioni sociali che una volta potevano durare per un’intera vita.

Intendiamo per coesione sociale un modo di operare,secondo quanto già detto circa le associazioni di promozione sociale, che tenti di arginare questi fenomeni di disgregazione.

È possibile,del resto, realizzare forme di coesione sociale attraverso politiche, anche di respiro comunale, orientate allo sviluppo di nuove forme di assistenza e promozione sociale.

I media omogeneizzano o creano coesione sociale?

Dal punto di vista della nostra associazione i media sono uno strumento e quindi non hanno un potere diretto ma le persone che usufruiscono di questo strumento utilizzano il potere di questo come meglio credono. In realtà il potere dei media non esiste, siamo noi che diamo potere ai media. Dal nostro punto di vista i media non sono solo la radio o la televisione ma anche nuove forma di comunicazione come internet o l’uso del computer fatto in una certa maniera.

Sicuramente quello che ci poniamo come obiettivo è quello di non dare per scontato l’utilizzo che dei media si fa e non dare per scontato l’effetto che i media hanno sulle persone che li utilizzano. Quindi i media non fanno né coesione sociale né omogeneizzano, possono essere un ottimo strumento per orientarsi nel mondo ed un ottimo strumento d’indipendenza. Dipende da come vengono usati, dal tipo di lettura  che le persone fanno nell’utilizzo dei media stessi. Per esempio se decido di lavorare con i bambini e decido di utilizzare i media, può essere un’ottima scelta, essi imparano a conoscere il mezzo e si rapporteranno con esso in maniera più consapevole rispetto a come e quanto avrebbero potuto fare se usufruissero dello stesso mezzo in maniera autonoma e sin dalla tenera età.

Nel sito si legge che l’ARCI è intenta a lottare contro l’esclusione sociale. Nello statuto, come del resto è giusto che sia, sono previsti meccanismi di tutela come l’espulsione. Quest’ultima da un punto di vista strettamente meccanico è una forma d’esclusione. Premesso che i meccanismi di autotutela sono indispensabili, e stralciando quindi il banale antitetico rapporto tra meccanismo di tutela ed esclusione, cosa s’intende per lotta all’esclusione?

Per esclusione sociale intendiamo quell’atteggiamento culturale per cui tutti coloro che non rientrano in certi canoni, “di normalità”, subiscono delle forme di deriva, di devianza o di etichettatura sociale in termini di escluso. Questo tipo di rappresentazione culturale delle diversità noi lo rifiutiamo. Da un certo punto in poi il termine esclusione o dualmente inclusione, non ha più senso in virtù dell’intento di voler comprendere i fenomeni e non di giudicarli. Infatti le persone apparentemente escluse, donne immigrate, persone detenute, bambini devianti ecc… non sono esclusi da noi, ma subiscono alcune forme di etichettamento tali da perdere dei diritti rispetto al legame che hanno con il sociale. Il nostro compito è quello di ricostituire sistemi di rete e di relazioni affinché possano fare dei percorsi di diritto in modo da essere inclusi all’interno di un modello sociale non già etichettato, ma magari cambiarto in rapporto alla propria diversità.

Percorsi di diritto??…cosa sono?

Sono dei percorsi che legano le persone alla coerenza con quello che fanno e quello che dicono.

Il volontariato supplisce i vuoti della politica?

Si ! ma non dovrebbe assolutamente essere così! Purtroppo a volte svolgiamo questo ruolo e qualche volta suppliamo anche i vuoti del pubblico che influenzato dalla politica si svuota di contenuto. Questo non va bene, noi siamo consapevoli di questo improprio. Spesso il conflitto che né deriva con le istituzioni, con le quali noi collaboriamo, nasce proprio da questo fenomeno. Le istituzioni tendono a delegarci mentre il nostro ruolo naturale sarebbe quello di collaborare con esse.

Cosa manca alla politica oggi?

Diverse cose, manca una referenza esterna, la politica istituzionale è autoriferita, purtroppo essa si è autoconfinata in un’autodescrizione. Ridefinire la politica come forma di soggettività politica di partecipazione della cittadinanza si avvicinerebbe molto al nostro modo di concepire la politica. Purtroppo oggi le manca la base, il rapporto di coerenza tra la teoria e la prassi, le manca una forma di etica che garantisce i rappresentati dai rappresentanti. Questo scollamento produce un disinteresse dei rappresentati e quindi un’assenza dei cittadini dalla partecipazione politica.

Tu che ti occupi di cooperazione internazionale puoi fare una differenza tra Italia ed altri paesi esteri?

Purtroppo non conosco in maniera approfondita molto lontane da quella italiana, ma credo che molto dipenda dalla storia culturale del paese. Le forme di rappresentatività che si trovano in Francia o Inghilterra sono assolutamente diverse rispetto a quelle che si vivono in Italia.

Cosa importeresti dall’estero? 

Ci sono forme di cooperazione da cui gl’italiani potrebbero solo imparare come per il modello francese o quello inglese, in cui ci sono delle buone pratiche dal punto di vista della logistica del recupero fondi ecc…. Bisogna però dire che molte grandi organizzazioni aderiscono ad un modello di cooperazione che è prevedibile e quindi anche se fanno delle ottime cooperazioni non disturbano minimamente i poteri forti. Anche se noi siamo molto piccoli, se riunissimo tutte ONG italiane non raggiungeremmo una ONG inglese, questo ci permette di avere diversi stili di cooperazione a seconda della aree culturali  e politiche di riferimento. Quello che noi potremmo esportare è una capacità creativa e critica e politica di ridimensionare le forma d’intervento e cooperazione. Per esempio in Italia c’è l’idea di ristabilire un contatto tra tutti gli operatori che si occupano politica internazionale e fare in modo che gl’interventi non siano più scollegati tra di loro ma che abbiano una logoca politica oltre che interventista. In modo da rispettare i ruoli al fine di una più corrtta organizzazione ed una più efficiente azione d’intervento.

ARCI è acronimo di ?

Associazione Ricreativa e Culturale Italiana.